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cucina di confine ligure-provenzale: il brandacujun



Questa settimana il Calendario del cibo italiano - AIFB dà il benvenuto alla Cucina di frontiera.
Curiosi? Io molto, perché l'argomento è così vasto che sarà difficile trovare due ricette che si assomiglino e sicuramente tra le tante postate dai sostenitori saranno molte quelle che non conosco. 
A parlarci diffusamente dell'argomento sarà Marina, andiamo a leggere cosa ci racconta in proposito!
La cucina, per sua natura, è contaminazione; le persone si spostano, in massa seguendo i flussi migratori, o singolarmente, a causa di vicende personali. In ogni caso portano con sé le proprie usanze, insieme ai piatti della propria tradizione; naturale che continuino a cucinarli diffondendoli presso i nuovi amici. 
Volete qualche esempio? Pensate alla cucina siciliana, così intrisa di sapori e abbinamenti di derivazione araba, e solo pochi giorni fa parlavamo della carabaccia, piatto toscano emigrato in Francia insieme a Caterina de' Medici per essere trasformato poi nell'odierna soupe à l'oignon.
Ma i territori di frontiera sono inevitabilmente terreni fertili alle contaminazioni culinarie, perché le tradizioni non conoscono limiti politici, ma solo etnici o tutt'al più geografici.  Facile quindi trovare nella Liguria di Ponente, dove abito,  piatti dal sapore provenzale... o forse è il contrario?
Se vado a Nizza per me è facile ritrovarmi a casa: farinata, che lì viene chiamata socca, verdure ripiene (alla ligure, direi io!)... e il pan bagnat? Attenzione pan, non pain! Wikipedia lo associa al pan bagnato italiano; d'altra parte Nizza è stata territorio italiano fino a ieri (cosa volete siano poco più di 100 anni in termini storici?).
Per onorare la scadenza ho scelto una preparazione ponentina che ha un suo corrispettivo provenzale: il brandacujun - in Provenza c'è la brandade -. 
La radice del termine deriva proprio dall'antico provenzale  brandado (mescolare), che gira e rigira, guarda caso, ha lo stesso etimo del nostro brandire (afferrare un'arma e agitarla). 
E così torniamo in Italia, in Liguria per la precisione, a Genova per essere ancor più precisi. 
Già nel XV secolo la Superba con le sue flotte veleggiava nel Mare del Nord, spingendosi fino alle coste del Labrador e di Terranova. Quei mari pescosi, ricchi di merluzzo, rifornivano di cibo i marinai che tornavano poi in terraferma con i loro carichi di pescato, non prima di averlo trattato per la conservazione salandolo (baccalà) o essiccandolo (stoccafisso). 
L'utilizzo di baccalà e stoccafisso si diffonde, ed è così che tutta la Liguria - ma anche l'Italia intera -, vanta una miriade di piatti basati su questi semplici ingredienti.
Il brandacujun è dunque una pietanza a base di stoccafisso, più raramente baccalà, che viene brandato, cioè scosso. 
E cujun? Beh... questo potete immaginarlo, non occorre essere liguri per capirne il significato. 
Essenzialmente le leggende sull'origine del nome sono due: una lo fa derivare dal sommovimento corporeo provocato dallo scuotimento della padella... e non diciamo altro! Circa la seconda si narra che il piatto fosse affidato al più sempliciotto della compagnia, che veniva incitato a muovere la padella al grido di "branda, cujun!". 
La preparazione ha l'aspetto di un miscuglio di patate e baccalà, grossolanamente disfatti senza che vengano però ridotti a purea: i pezzetti dei due ingredienti principali si dovranno distinguere bene nel palato.
In più aglio, prezzemolo, pinoli e succo di limone per aromatizzare e abbondante olio extravergine d'oliva - e qui direi che la taggiasca è d'obbligo! - per completare il piatto.
Se la versione originale è con lo stocco (stoccafisso), io preferisco invece il baccalà. 
La differenza principale è nella cottura: il primo ha bisogno di essere cotto a lungo, partendo da acqua fredda, per il secondo, invece, la rapidità è d'obbligo, per poterne preservare la morbidezza. 
Le patate andrebbero sbucciate e lessate insieme al pesce; anche in questo passaggio io faccio una piccola variante, lessandole a parte con la buccia.   
Si gusta come antipasto o come secondo piatto, preferibilmente tiepido, ma specie in estate è buonissimo anche a temperatura ambiente.



Ingredienti (per 4 persone):
800 g di baccalà dissalato (o stoccafisso già ammollato)
500 g di patate
2 spicchi d'aglio
una manciata abbondante di foglie di prezzemolo
2 cucchiai di succo di limone
2 cucchiai di pinoli
abbondante olio extravergine d'oliva (varietà taggiasca) 
sale e pepe q.b. 


Esecuzione:
preparate un trito di aglio e prezzemolo.
Lessate le patate con la buccia, mettendole già in acqua fredda.
Lessate anche il baccalà in acqua bollente, a fuoco basso, per una decina di minuti circa. Se il trancio è sottile i tempi potrebbero essere più rapidi.
Al termine scolate, eliminate la pelle e le lische e disfatelo con le mani, fino a ridurlo a scagliette grossolane. 
Sbucciate anche le patate e spezzettatele con una forchetta, senza ridurle a purea. 
Unite le patate al pesce e mettete in una padella insieme al trito aromatico, ai pinoli e al succo di limone.
Aggiungete abbondante olio extravergine d'oliva e cominciate a mantecare, rimestando per qualche minuto. 
Per ultimo coperchiate e scuotete la padella vigorosamente per pochi istanti, per amalgamare tutti gli ingredienti che si disferanno in pezzi più piccoli, in un'armonia di sapori.
Regolate eventualmente di sale, se vi piace aggiungete pepe e servite.